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Il perimetro

  • Immagine del redattore: chiaramarino097
    chiaramarino097
  • 23 nov
  • Tempo di lettura: 1 min

Aggiornamento: 7 giorni fa


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Prima ascoltavo più musica e leggevo meno libri. Ascoltavo i Sigur Rós in lunghissime notti immobili.

In quelle ore rarefatte – che adesso mi sembrano di sogno – i sibili di Jónsi non disegnavano un linguaggio umano e intellegibile, neanche ci provavo a capire.


Dopo settimane – o forse è stata una notte trascorse così, come se dormissi dentro lo scintillio della Via Lattea, come se il mio letto fosse di nero siderale, ho cominciato a distinguere il piccolo frammento di una cometa ricorsiva, prima un suono, poi ho distinto una parola, l'ho riconosciuta, ne ho districata una alla volta dai sibili d'argento, e l'ho stretta forte con la mente. Facendomi strada tra fumi saturnini, in cerca di una via per la Terra, la tenevo in mano, brillante. A chi appartieni, deliziosa scheggia del firmamento? All'Islanda, mi ha risposto. Avevo un'idea vaga di questa risposta. Intuivo che bisognava sì tornare sulla Terra, ma senza certezza, senza coordinate. L'Islanda allora poteva non esistere davvero, quasi nessuno l'aveva mai vista, e chi l'aveva fatto non sembrava proprio in regola con la fantasia.


Dopo aver stretto quella parola, quella prima volta, ho potuto ogni volta ritrovare la strada per stare lassù, ritrovare il mio pezzetto di cielo, le mie lenzuola di notte, le mie siderali abat-jour.

Quando ho incrociato i libri di Jón Kalman Stefánsson è diventato tutto chiarissimo: una dolce luce di latte ha disegnato la mia costellazione sulla Terra, un perimetro senza bordi, un'amaca che si sforma appena ti sdrai, una culla, in cui stare comoda anche quaggiù.

 
 
 

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